La testimonianza di chi ha ritrovato il senso della propria esistenza
Sto bene. Mi godo la mezza età con l’entusiasmo di un ragazzo. Suono, la musica mi permette di entrare in dimensioni incontaminate da routine,
insoddisfazione e tristezza: vado altrove. E’ un pieno di energia che mi consente di atterrare nuovamente, ben saldo, in un quotidiano fatto di gratificazioni,
piaceri, godimenti, difficoltà… Gioisco nell’apprezzare cose piccole nella loro fugacità e mi impegno nell’accettare le brutte anche quando piccole non sono:
ne prendo atto e mi impegno per dare il meglio. Semplicemente affronto la vita consapevolmente senza esitare davanti al piacere.
Il mattino mi sveglio avido di portare avanti i miei modesti progetti a breve e lungo termine.
Non è sempre stato così. In alcune fasi della mia vita tutto precipitava in un baratro oscuro [...]
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...un baratro oscuro dove niente poteva più distinguersi. Risvegli che ho odiato perché essere sveglio mi costringeva ad affrontare il tempo che non sentivo più appartenermi,
né dentro né fuori. Facevo fatica ad ascoltare la musica ma anche il ritmo del mio respiro. Avevo smesso di lavarmi, mangiavo a stento quello che,
ancora commestibile, era rimasto in dispensa o sul tavolo. Sono single, lo sono sempre stato, per scelta. Quando la depressione si impossessò
della mia volontà lasciai fare, a nessuno dovevo rendere conto. Mia sorella mi traferì a forza a casa sua, mi nutriva, lavava le mie lenzuola
e la mia biancheria. Io lasciavo fare. Gli amici cominciarono a telefonare, la maggior parte delle parole erano scontate, banali, ma io
ne decifravo solo una minima parte. Percepivo forte imbarazzo da parte di chi voleva aiutarmi annaspando a stento fra ingombranti silenzi,
consigli inutili e previsioni disgustosamente edulcorate ed ottimistiche, o quantomeno per me, utopistiche.
Assieme alla volontà se ne andò subito anche la speranza; inghiottivo pillole ritenendo fosse superfluo, senza l’energia o un debole movente
per oppormi o contrastare una terapia. Sentivo la disperazione prendermi e portarmi via, perché ormai la mia vita era la mia disperazione,
come due entità sovrapposte che alla fine si fondono. E allora mi affannavo in quel buio senza capire o intravedere altro varco se non quello definitivo
al di là di tutto, per scappare da quel dolore insostenibile e dallo stesso me.
Mia sorella provò a consultare un altro psichiatra, ma uno demoliva la terapia indicata dall’altro, dunque decise, lei, di non cambiare ma aspettare,
chiedendo a tutti i miei amici di starmi alle calcagna. Aspettare, come successe già un’altra volta. Perché quella appena descritta non fu la mia prima
crisi depressiva, la precedente avvenne diversi anni prima. Concedemmo tempo al tempo, con aspettative diverse, o meglio, io senza aspettative.
Un giorno andai a trovare la mia gatta lasciata presso amici disposti ad occuparsene. Una settimana dopo la riportai con me nella mia casa
perché mia sorella ritenne che avrei potuto provarci. Rispondevo più volentieri alle telefonate degli amici, con i quali inaspettatamente riuscii
a programmare una vacanza, ripresi a vedere i colori e i contorni più nitidi. Volevo. Finalmente ero tornato a volere, a pretendere, desiderare…
Volevo scegliere il cibo, i vestiti, i film, … volevo riprendermi il senso di questa mia esistenza, ripercorrere i meandri della felicità, anche quella occasionale,
che appare all’improvviso e a cui non si ha tempo di attribuire una causa o una logica. Volevo “disperatamente” guarire, quando ancora
non avevo fatto in tempo ad accorgermene. Proseguii con una blanda terapia di mantenimento che, in accordo con lo psichiatra, gradualmente ho ridotto.
Ho iniziato a presenziare nuovamente a gruppi di auto aiuto, poiché avevo già sperimentato che la mia guarigione si consolidava
anche attraverso lo scambio con chi viveva ancora negli abissi da cui io ero emerso. Perché la terapia chimica deve viaggiare in sinergia con quella della parola,
di un tecnico ma anche di un “esperto” che ha sentito forte l’odore del nulla.
Qualcuno mi chiede se non temo che la malattia si ripresenti. Ognuno ha il suo vissuto, ma risolta la crisi si ritorna come prima, addirittura più solidi e consapevoli.
Non ho modo né tempo di ordire trame dove la paura di un ricaduta possa intaccare quella vita che adesso è mia.
Perché la vita non può essere che adesso. E questo “adesso” prezioso mi piace così com’è.
Marzo 2024
Enrico