Non è facile definire con chiarezza la parola depressione, e questa è la prima delle tante insidie con cui bisogna fare i conti nel combatterla. Nel linguaggio moderno il termine “depressione” si usa per indicare cose alquanto diverse tra loro. Può indicare uno stato d’animo temporaneo, oppure un’inclinazione soggettiva, una caduta dell'umore legata al temperamento, e tuttavia transitoria. Ma può indicare anche una malattia mentale ben precisa, una “sindrome maniaco depressiva” caratterizzata essenzialmente da attacchi di ansietà, profonda malinconia e stanchezza, che può sfociare in pensieri autolesivi e di morte. Come dice il professor Andrea Fagiolini in apertura della video inchiesta Il cavallo di Musil, “La depressione è una malattia molto grave e molto prevalente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha certificato che la depressione è la prima causa di disabilità tra tutte le malattie da cui siamo afflitti.” Molto prevalente eppure molto nascosta, anche da chi ne soffre, per ragioni di stigma sociale. Questa associazione e questo sito, nel loro piccolo, si propongono di andare controcorrente di accendere una luce sulla sindrome depressiva, sulla sua gravità e potenziale letalità, sulla necessità di ricorrere a diagnosi e terapie adeguate, non facili da identificare.
Il cavallo di Musil è una videoinchiesta di Nanni Delbecchi e Vito Oliva sulla sindrome depressiva (la stessa che ha segnato la fine della vita di Alessandra), con gli interventi degli psichiatri Andrea Fagiolini e Maurizio Pompili, degli scrittori Fuani Marino, Andrea Pomella, del docente di letteratura italiana Stefano Redaelli, dell’attrice Evelina Nazzari.
Si può morire di depressione? Sì, la depressione maggiore è un disturbo dell’umore potenzialmente mortale, su questo non c’è alcun dubbio, la cui letalità è connessa ai pensieri di morte che si affacciano nella mente del depresso, impadronendosi della sua psiche come una metastasi invisibile, e tantopiù devastante. In Un’oscurità trasparente, William Styron descrive magistralmente lo stato depressivo e la sua deriva letale “Neppure per un istante il depresso abbandona il suo letto di spine, ma vi resta abbarbicato ovunque vada.” Non c’è via di fuga salvo una: la morte come uscita di sicurezza, liberazione da un’insostenibile sofferenza mentale. Il depresso non vuole morire; vuole vivere, ma la vita gli è divenuta insopportabile come può diventarla a un tetraplegico per motivi misteriosi a se stesso. Entrare dentro questo mistero -come Orfeo entra nel regno degli inferi- e riportare i malati nel regno dei vivi, è il compito terribile a cui è chiamata la psichiatria.
L’orrore grigio e brumoso della depressione finisce per assomigliare sempre più al diabolico tormento di trovarsi imprigionati in una stanza spaventosamente surriscaldata. Non c’è via di fuga da questa cella asfissiante: è del tutto naturale che la vittima cominci a pensare senza posa all’oblio”
William Styron
Di depressione si può anche morire, ma se ne può anche uscire. Per questo la scelta dei terapeuti, della compatibilità tra paziente e terapeuta, delle cure e - nei casi estremi - delle strutture ospedaliere è decisiva. Oggi la psichiatria punta principalmente sul trattamento farmacologico. Una visione fredda, tecnicistica dei disturbi dell’umore. Si cura il cervello assai più che la psiche. E’ innegabile che l’evoluzione degli psicofarmaci abbia cambiato radicalmente le prospettive della psicoterapia, ma il rischio è che tali terapie farmacologiche non siano supportate da una capacità di ascolto e di partecipazione emozionale, e dunque di capacità diagnostica. Mentre i sintomi della depressione si facevano sempre più violenti, Alessandra è passata senza successo da un consulto all’altro, sperimentando i vuoti e le carenze della sanità pubblica, i tempi infiniti per prendere un appuntamento anche a caro prezzo, i limiti di una psichiatria appesa all’ultima molecola del Big Pharma. L’odissea di visite e consulti si è conclusa con la fuga solitaria dall’ospedale in cui era ricoverata anche perché nessun terapeuta aveva saputo comprendere quanto fosse grave lo stato depressivo, con i rischi suicidari a esso connessi. La nostra Associazione vuole richiamare l’attenzione su chi non ha mai smesso di sottolineare quanto sia indispensabile la terapia di parola nella psichiatria. Le malattie mentali vanno trattate comprese e protette secondo un approccio olistico, altrimenti i rischi aumentano, a partire dall’evento letale.
Eugenio Borgna è il padre italiano della psichiatria fenomenologica, nella sua visione una “scienza dell’anima” nutrita di psicologia, medicina ma anche di filosofia e letteratura.
leggiAnche la logoterapia fondata da Viktor Frankl, il grande psichiatra viennese sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti, va nella stessa direzione, fino a diventare una interpretazione di ogni esistenza umana in qualunque circostanza.
leggiAlla metà degli anni 70, in contrasto all’antipsichiatria secondo cui occorre demedicalizzare la malattia mentale, il professor Cassano va controcorrente e fonda il Centro per la prevenzione e la terapia della depressione presso la Clinica psichiatrica dell’Università di Pisa.
leggiMario Tobino, oltre a essere un importante scrittore del Novecento, è stato a lungo primario di psichiatria nel manicomio di Maggiano, in provincia di Lucca, luogo al centro di alcune delle sue opere letterarie, tra cui il celebre Le libere donne di Magliano.
leggiFranco Basaglia è stato un grande terapeuta e un grande uomo, pioniere di quella psichiatria esistenziale su cui l'Associazione delle famiglie ADHD vuole richiamare l’attenzione, perché se ne sente un gran bisogno.
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La testimonianza di chi ha ritrovato il senso della propria esistenza
Sto bene. Mi godo la mezza età con l’entusiasmo di un ragazzo. Suono, la musica mi permette di entrare in dimensioni incontaminate da routine, insoddisfazione e tristezza: vado altrove. E’ un pieno di energia che mi consente di atterrare nuovamente, ben saldo, in un quotidiano fatto di gratificazioni, piaceri, godimenti, difficoltà… Gioisco nell’apprezzare cose piccole nella loro fugacità e mi impegno nell’accettare le brutte anche quando piccole non sono: ne prendo atto e mi impegno per dare il meglio. Semplicemente affronto la vita consapevolmente senza esitare davanti al piacere. Il mattino mi sveglio avido di portare avanti i miei modesti progetti a breve e lungo termine.
Non è sempre stato così. In alcune fasi della mia vita tutto precipitava in un baratro oscuro [...] Leggi tutto...
Enrico
L’articolo 32 della nostra Costituzione contiene due principi importanti, che in alcuni casi sembrerebbero essere in conflitto:
il diritto alla cura e il diritto alla libertà di cura: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività,
e garantisce...”
Un altro interessante contributo alla riflessione sull'inadeguatezza del sistema, che spesso abbandona i malati lasciandoli soli
e in carico alle famiglie, viene dall' AIFA - APS L'Associazione Famiglie Italiane ADHD. In questo video AIFA e il Sole 24 Ore
affrontano il tema dei pazienti...
“Temo una cosa sola: di non essere degno del mio tormento” ha scritto Dostoevskij. Questa è la missione del survivor, del sopravvissuto al suicidio di una persona cara. Non tutti i suicidi sono gesti volontari, se è vero come è vero che alcune malattie della mente privano della facoltà di intendere e di volere, e questo fa una grossa differenza. Però ogni survivor diventa egli stesso un soggetto psichiatrico che in sé soffre uno stigma ma possiede anche un privilegio: poter raccontare l’indicibile, vedere un perché nel più atroce dei come, trovare le ragioni di essere all’altezza del proprio tormento. Possiamo associare il suicidio a un grido di dolore disperato la cui eco resta per sempre nella mente di chi lo ha udito. È il destino di chi resta: rimanere in bilico tra grida e silenzi. In psichiatria si intende per survivor il sopravvissuto al gesto estremo di un proprio caro nonostante tutti gli sforzi fatti perché ciò non accadesse. Secondo lo psichiatra George Howe Colt, per ogni suicidio si possono calcolare dai 6 ai 10 survivors: padri, madri, gli, mogli, mariti, amici intimi che si trovano a sperimentare un evento traumatico enorme, candidati a sopportate uno stress che avrà pesanti conseguenze su ogni fronte della vita.
Li chiamano survivors, in italiano sopravvissuti, quelli che restano dopo la morte per suicidio di un proprio caro, amico o conoscente...
di Patrizia Borrelli, Psicologa Psicoterapeuta Sistemico Relazionale
“Quando incominciò ad albeggiare non mi importava più di niente”. Quella sensazione del Racconto di un naufrago,
romanzo-memoir breve pressoché sconosciuto di Gabriel García Márquez...
di Vito Oliva
La mia vita di survivor comincia con uno squillo del telefono, alle 11 del mattino del 3 giugno 2018.
Due ore prima, in quella immobile, afosa domenica...
di Nanni Delbecchi
A proposito di survivors, vi invitiamo a leggere l’inchiesta di Maddalena Oliva pubblicata sul Fatto Quotidiano del 6 ottobre 2019.
di Maddalena Oliva
E' nata in Asti un'associazione gemella della nostra; si chiama "Un libro per Daniela", ed è stata fondata da Luciano Cavallo per ricordare la moglie Daniela Albertelli. Daniela viveva e lavorava ad Asti, la città natale di Alessandra. Daniela i libri li consigliava e li vendeva, Alessandra li scriveva. Erano evidentemente fatte l'una per l'altra, era destino che si incontrassero ancora per combattere il disagio psichico attraverso le loro associazioni. Se state leggendo queste righe, siete venuti a trovare Alessandra; per andare a trovare Daniela cliccate su UnLibroPerDaniela
Libri che sondano il mistero doloroso della depressione. Libri che affrontano “il solo problema filosofico veramente serio: quello del suicidio” (Albert Camus). In ogni stanza del sito c'è posto per una serie di consigli di lettura coerenti ai temi trattati. Chiunque ha facoltà di proporre e motivare i propri titoli.
di Paolo Del Debbio
Perché proprio oggi, in questa epoca della nostra storia, è importante ritornare sul contributo dello “psicologo dei lager”, il neurologo, psichiatra e filosofo viennese Viktor Frankl (1905-1997)? La questione ha una parola: si chiama senso della vita. Occorre tornare a Viktor Frankl, per il semplicissimo motivo che ciò di cui abbisogna il nostro mondo è esattamente il senso della vita. Dispersi, frastagliati, senza radici, la generazione di internet perché dovrebbe interrogarsi sul senso se tutto si gioca in superficie? Il senso chiede di immergersi e, attraverso l’immersione, andare oltre. Anche perché quando arrivano quelle che Karl Jaspers chiamava le “situazioni-limite” della vita: la sofferenza, la morte, le asperità forti della vita, la mancanza di senso si fa viva anche se non se ne conosce il nome, anche se – genericamente-, la chiamiamo depressione. Insomma, nell’epoca che più ha smarrito il senso, questo è ciò di cui meno si parla. E arriva la chimica che può aiutare a liberare uno spazio nell’anima, nella psiche, ma una volta liberato – come insegnava Frankl – rimane vuoto. Vuoto di senso. “Il medico -scrive Frankl – deve avere coscienza del bisogno che l’uomo ha di dare un significato alla propria vita. Ma alla nostra epoca, epoca di dubbio sul senso della vita, è più che mai necessario che egli resti ben cosciente – ed aiuti il suo paziente a prendere a sua volta coscienza di ciò – che la vita non cessa di avere un significato, neppure in mezzo alle sofferenze, anzi è proprio la sofferenza ad offrire possibilità di realizzare il significato più elevato, il valore più alto possibile.” Frankl, prima di scrivere queste cose, era passato da quattro campi di concentramento, tra i quali Auschwitz e Dachau. Aveva, cioè, sperimentato una delle peggiori esperienze nelle quali si era manifestato il mysterium iniquitatis nel XX secolo. Ci aveva vissuto in mezzo e da lì aveva imparato che senza il senso la vita non ha un orizzonte di possibilità, ma solo di angoscia.
• Viktor E. Frankl, Alla ricerca di un significato della vita. Per una psicoterapia riumanizzata, MursiaLa depressione: una malattia genetica, una malattia rimossa e subdola, una malattia curabile ma potenzialmente letale. Una malattia che aggredisce chiunque, quale che sia il censo la cultura e l’età, dove la sensibilità del singolo malato è una variabile fondamentale, ma particolarmente insidiosa quando è connessa al talento artistico e creativo. Questo è il libro che ogni affetto da depressione e ogni familiare dovrebbe leggere prima di tutti gli altri per comprendere quanto la consapevolezza possa essere decisiva nella cura. Per combattere il male oscuro la prima cosa da fare è illuminare l’oscurità. La diagnosi, i trattamenti, i soggetti a maggior rischio, l’analisi dei traumi… l’intervista di Serena Zoli al professor Giovanni Battista Cassano tocca tutti i punti fondamentali della sindrome, come un filo di Arianna dipanato nel labirinto, e alla fine della lettura si esce confortati, in grado di agire.
• Giovanni Battista Cassano con Serena Zoli, E liberaci dal male oscuro, TeaSolo chi ci è passato può capire cos’è la depressione, e fino a che punto chi non ci è passato, per quanti sforzi faccia, sia portato a equivocare la gravità di questa perfetta tempesta di tenebre. Crollo dell’autostima, senso della perdita, desiderio divorante di oblio: “E’ impossibile dubitare del fatto che la depressione, nella sua forma estrema, è pazzia.” William Styron rivede alla moviola il film della sua malattia, l’inesorabile progressione del dolore, l’impossibilità di comunicarne gli effetti anche agli specialisti a cui si è rivolto. Styron narra l’inferno e vi trascina il lettore con la forza del grande romanziere, solo che questa volta il protagonista è se stesso.
• William Styron, Un’oscurità trasparente, MondadoriIn questa autobiografia tessuta di memorie rapsodiche e echi letterari il grande terapeuta Eugenio Borgna nel rivocare le tappe della sua vita ribadisce la propria visione della psichiatria come scienza dell’anima, in contrasto con la tendenza prevalente della medicina tout court, “oggi sempre più affascinata e divorata dalla tecnica.” Una psichiatria emozionale, fenomenologica, basata sull’ascolto, il dialogo, l’empatia, la ricerca dell’indicibile che si nasconde nella vita interiore dei pazienti, e senza la quale ogni cura farmacologica si rivela insufficiente, disumanizzante. Vertiginose le pagine finali che si interrogano sull’intreccio tra vita e morte, e sugli abissi di chi arriva a tentare il suicido: “Ci si uccide quando non si ha più speranza, o quando non resta se non la speranza della morte?”
• Eugenio Borgna, Il fiume della vita - Una storia interiore, Feltrinelli