Temo una cosa sola: di non essere degno del mio tormento
Fëdor Dostoevskij
Perché, se abbastanza persone lo vorranno, l’Associazione Amici di salvataggio vivrà? Per far sì che anche il dolore legato alla sopravvivenza diventi utile. La decisione di fondare questa onlus nata da sette amici, questa scommessa di accendere una lanterna nell’oscurità del più indicibile dei dolori, è legata alla capacità di dare un significato alla vita, sfida che si manifesta come non mai proprio nelle circostanze estreme dell’esistenza. Affinché, nonostante tutto, Alessandra e la sua voglia di aiutare gli altri possano continuare a vivere.
Temo una cosa sola: di non essere degno del mio tormento
Fëdor Dostoevskij
Cara Brunita, io combatto da più di un anno per avere un sostegno a Milano. Oltre alla psicoterapia sentivo il bisogno di un gruppo di sostegno per sopravvissuti, ma ho sempre trovato solo muri e porte chiuse, anche da parte di chi, a parole, sostiene di prendersi cura di persone in lutto, oppure persone incompetenti, non qualificate e prive di empatia. È scoraggiante, pensando a tutti i sopravvissuti abbandonati a se stessi.
Siamo dentro la seconda estate dell’era Covid, a me risulta dal mio modesto osservatorio che ci sia un incremento dei suicidi e un malessere psichico di cui non si parla. Nel dibattito pubblico il tema è completamente assente, si parla talvolta dell’aumento dei suicidi negli adolescenti, ma se ne parla comunque poco e non si allarga ad altre fasce d’età che mi pare ne siano purtroppo coinvolte. Il tema rimane un tabù e questo non credo faccia per niente bene alla salute pubblica!
A gennaio 2020 il mio unico figlio ha deciso di andarsene. Per me sarebbe importante la presenza di gruppi di sostegno per sopravvissuti a Milano, non normali gruppi AMA ma gruppi strutturati e guidati da un professionista. Milano ne è carente, e mi sorprende che sia così. Sarebbe bello e utile se venisse promossa la creazione di tali gruppi, già presenti in molte altre zone d’Italia.
Cara mamma, (...) parli di un gesto premeditato, in qualche modo non evitabile. Ma la depressione maggiore annulla la volontà di vivere, il depresso non è in sé, è soggetto a raptus ma in lui non può esserci nulla di veramente premeditato: per questo la corretta valutazione di chi è vicino ai malati, dei medici curanti e dalle protezioni che troppo spesso latitano è una questione di vita o di morte. Qui si gioca la nostra battaglia contro i tabù, anche se, certo, ogni caso, ogni vita [...] Leggi tutto...
“Nessuno conosce le ragioni di un suicidio, tantomeno chi si è suicidato” ha scritto Primo Levi a proposito del suicidio di Jean Améry. Altrettanto insondabile è il dolore di chi resta, tanto più per chi resta, perché nel mistero del suicidio si nasconde il mistero stesso dell’esistenza. “I superstiti si voltano indietro e scorgono presagi, messaggi di cui non si sono accorti”, ha scritto Joan Didion. E non smetteranno di cercarli anche guardando avanti, come si cerca un senso a questa vita anche quando questa vita non sembra averlo. Se credono, quei messaggi e quei presagi i survivors potranno cercarli anche in questa stanza raccontando la loro esperienza personale.
Nessuno conosce le ragioni di un suicidio, tantomeno chi si è suicidato
Primo Levi
Cara amica di salvataggio, grazie due volte Il primo grazie per averci scritto: il sito prende senso dal desiderio e dal coraggio di confrontarsi su questi temi considerati ancora dei tabù. L’appello è rivolto a tutti: terapeuti, pazienti, vittime, sopravvissuti e ogni persona sensibile. Il nostro sito o vivrà così, o non vivrà. Il secondo grazie per aver posto un tema fondamentale come la scelta del terapeuta. La compatibilità tra paziente e psichiatra o psicologo è decisiva. Una [...] Leggi tutto...
Grazie di averci scritto e di darci la prova che questo sito può aiutare "quelli che restano" a uscire da se stessi, e dal proprio solitario interrogarsi. Un modo per scambiare e condividere strategie di sopravvivenza insieme agli altri. Certi dolori non se ne vanno, restano, questo scoprono i survivors; ma si può imparare a conviverci.
I libri amati da Alessandra, i libri che sondano il mistero doloroso della depressione, i libri che affrontano “il solo problema filosofico veramente serio: quello del suicidio” (Albert Camus). In ogni stanza del sito c'è posto per una serie di consigli di lettura coerenti ai temi trattati. Chiunque ha facoltà di proporre e motivare i propri titoli.
Il salto (Sarah Manguso, NN Editore 2017, traduzione Gioia Guerzoni) è il memoir di una ricerca, quello di Sarah Manguso: del motivo per cui il suo amico Harris si è tolto la vita, e di una consolazione al dolore. “Harris […] aveva camminato per dieci ore prima di gettarsi di fronte al bagliore sui binari. Non importa se mi aveva pensato, se avrebbe voluto chiamarmi, se gli ero mancata, se era arrabbiato con me, ma è impossibile non cercare di entrare nella scatola nera di una mente [...] Leggi tutto...
“La vita cambia in fretta. La vita cambia in un istante. Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.” Joan Didion racconta la perdita improvvisa, istantanea del marito John, e da lì nasce l’istinto di risalire la corrente dei ricordi inseparabili, degli anni trascorsi in simbiosi, ma anche l’istinto di intercettare i segni che qualcosa sopravvive alla perdita, la prova che tra passato e futuro non c’è un muro invalicabile. L’anno del pensiero magico è quello in cui la vita pare parlarci al di là della ragione, e il cuore è in ascolto. Ma poi? Quando la vita cambia, osserva Joan Didion in questa autobiografia del dolore, anche a noi tocca la stessa sorte.
• Joan Didion, L’anno del pensiero magico, Il SaggiatoreJonathan Franzen parte per uno sperduto isolotto a largo delle coste cilene; in quei giorni di scoperta della natura selvaggia e assoluta solitudine ha con sé una copia di Robinson Crusoe e una manciata delle ceneri dell’amico fraterno David Foster Wallace, che la vedova di David gli ha chiesto di disperdere nell’oceano. Interrogandosi a lungo sulle ragioni del suicidio del suo gemello diverso, Franzen oscilla tra la rabbia, il rimpianto, il dolore e perfino l’invidia. A un tratto è colto da un’illuminazione. Il suo interesse per l’osservazione degli uccelli rari è la ragione che lo protegge dall’idea della morte, David invece non aveva nulla di simile nella sua vita, nulla che lo interessasse a parte il proprio lavoro di scrittore. E qui si tocca un punto nodale della sindrome depressiva nelle personalità artistiche: l’incapacità di uscire da sé, l’essere tutt’uno con la propria ossessione.
• Jonathan Franzen, Più lontano ancora, EinaudiSe proprio siete determinati a farlo, se non vedete alternative possibili alla vostra fine, bene, concedetevi ancora un paio d’ore e date un’occhiata a “Piccoli suicidi tra amici” di Arto Paasilinna, ex guardiaboschi, ex giornalista, ex poeta, che apre il suo libro con una serissima dedica proverbio: “In questa vita la cosa più seria è la morte; ma neanche quella più di tanto”. Parola di uno scrittore finnico che vi farà schiantare dalla sua serissima leggerezza: “Il più formidabile nemico dei finlandesi è la malinconia, l’introversione, una sconfinata apatia. Il peso dell’afflizione è tale da indurre parecchi finlandesi a vedere nella morte l’unico sollievo. La malinconia è un avversario più spietato dell’Unione Sovietica”. E allora, perché no, non costituire anche noi la Libera Associazione Morituri Anonimi e partire a bordo del lussuoso pullman Saetta della Morte per un viaggio da un capo all’altro dell’Europa alla ricerca del migliore strapiombo da cui lanciarsi nel vuoto?
• Arto Paasilinna, Piccoli suicidi tra amici, Iperborea (segnalato da Vito)Imparare a camminare, da bambini, è compiere un’impresa gigante; ed è qualcosa che siamo convinti non dimenticheremo mai più, un po’ come si dice dell’andare in bicicletta. Invece, ciò che non sappiamo è che dovremo imparare ancora tante, tante volte a camminare (che, per dirla con Marcela Serrano, è un verbo che presuppone movimento): imparare a camminare con una perdita. Nel suo romanzo da me più amato, Peter Cameron lo espone in modo icastico, terragno e toccante: "Ci sono cose che si perdono e non tornano indietro; non si possono riavere mai più, se non nella carta carbone della memoria. Ci sono cose a cui sembra impossibile rassegnarsi ma a cui rassegnarsi è inevitabile. Lo scorrere dei giorni leviga il dolore ma non lo consuma: quello che il tempo si porta via è andato, e poi si resta con un qualcosa di freddo e duro, un souvenir che non si perde mai. Un piccolo bassotto di porcellana delle White Mountains. Una marionetta del teatro delle ombre di Bali. E guarda: un calzascarpe d'avorio di un hotel a quattro stelle di Zurigo. E qua, come un sasso che porto ovunque, c'è un pezzetto di cuore altrui che ho conservato da un vecchio viaggio”.
• Peter Cameron, Il weekend, Adelphi 2013, traduzione di Giuseppina Oneto. (segnalato da Sarah)“Il suicidio è un atto conscio di auto-annientamento, meglio definibile come uno stato di malessere generalizzato in un individuo bisognoso che, alle prese con un problema, considera il suicidio come la migliore soluzione”. Questa definizione di Edwin Shneidman è il punto di partenza del saggio di Maurizio Pompili, medico psichiatra, tra i più eminenti suicidologi al mondo: “Coloro che pensano al suicidio (o che tragicamente si suicidano) vogliono vivere, ma dopo un lungo meditare sono giunti alla conclusione che la loro sofferenza, per diverse ragioni. non possa avere fine.” Perché? Pompili offre un’analisi del suicidio quale fenomeno complesso, che va compreso alla luce di fattori biopsicosociali, ambientali e socioculturali non prevedibile nemmeno da chi lo compie, per cui la valutazione degli individui “a rischio” deve poter basarsi su quante più informazioni possibili: “Gli individui che hanno intenzione di suicidarsi vogliono assolutamente essere salvati ma il desiderio di vivere e quello di morire sono in equilibrio precario.” L’ultima parte del libro è dedicata ai survivors che hanno perso un loro caro per suicidio, la più grande comunità di vittime nell’area della salute mentale. La ricerca del perché è un processo lungo, precisa Pompili, il tempo da solo non è sufficiente all’elaborazione della perdita, è fondamentale poter contare su professionisti capaci di interagire con il survivor. Sulle orme di Shneidman, il saggio include un elenco degli otto passi decisivi nella postvention, e sottolinea l’importanza di programmi specifici anche per i survivors.
• Maurizio Pompili, La prevenzione del suicidio, il Mulino, 2020 (segnalato da Valeria Camia)